domenica 5 febbraio 2017

4. Scrittura Accademica: la storia del mastering


Questa volta vi parlerò di una storia un po’ diversa. Si tratta della storia del mastering, attività che nel corso degli anni ha cambiato il suo scopo, ma che rimane tutt’ora decisamente affascinante.
Alcuni di voi sapranno già cosa vi sto per raccontare, altri invece no. Vi farò quindi un breve riassunto del contenuto del testo che ho scritto in occasione di un esame a riguardo dell’argomento.
Il mastering nasce con l’avvento dei supporti su cui trasferire la musica dopo essere stata registrata. Il primo supporto di divulgazione di massa della musica è stato, agli inizi del 1900, il 78 giri in gommalacca. Questo fu lo standard fino al 1948 con l’introduzione del disco in vinile. I primi mastering engineers erano proprio coloro che si occupavano di produrre questi dischi. Con il passare del tempo però ci si rese conto che l’audio poteva e andava ottimizzato perché questi supporti rendessero al massimo.
I dischi in vinile infatti presentavano dei limiti fisici: il solco inciso dove sarebbe dovuta scorrere la puntina non poteva avere dimensioni maggiori di un certo limite per evitare che la puntina stessa uscisse dall’incisione. Da qui nasceva la necessità di ottimizzare le registrazioni perché tutto funzionasse al meglio durante la riproduzione. L’avvento delle cassette a nastro e più tardi dei CD cambiarono le necessità di addetti del settore e del pubblico. Ora i mastering engineers erano diventati chirurghi incaricati di correggere i mix e di farli suonare più forte rispetto alla concorrenza.
Queste vicissitudini sono state accompagnate e anche causate da notevoli innovazioni tecnologiche che vi racconterò nel mio saggio sul mastering:

Clicca qui per visualizzare e scaricare l'elaborato

3. Pensiero e analisi: il primo anno di SAE Institute

Mi ricordo perfettamente il primo giorno di lezione in SAE. Da quel momento è passato parecchio tempo, sono in procinto di incominciare il secondo anno e quindi credo sia giusto soffermarsi un attimo a ripensare al percorso fatto e a quello che intraprenderò a breve. Per prima cosa voglio ringraziare tutti i miei compagni di studio e di studi; dicono che SAE sia una grande famiglia, ed effettivamente è così. Nei miei colleghi, e amici, ho trovato una seconda famiglia su cui poter contare sempre.

Ripensando alle competenze che avevo in ambito audio un anno fa, posso affermare che la curva di apprendimento in SAE è stata estremamente ripida ma efficace. Certo, non tutto è perfetto, alcuni corsi come Storia della Musica e Acustica avrei preferito fossero affrontati con un po’ più di calma e con un livello di approfondimento maggiore, ma riguardando tutto quanto nell’insieme, non posso che essere soddisfatto. Con il senno di poi avrei voluto impegnarmi maggiormente in alcuni corsi, sopratutto  per quanto riguarda Music Styles e Mastering. Gli esami relativi a questi due corsi rimangono per me due nei in un percorso di studi altrimenti molto soddisfacente di buon livello.

L’opportunità di essere in contatto con persone che prima di essere docenti sono stati professionisti di altissimo livello nel settore, dal mio punto di vista è, uno dei punti di forza maggiori di questa scuola e di cui sono più soddisfatto. So che qualcuno la pensa diversamente a riguardo di ciò, ma la mia esperienza è stata più che positiva. Probabilmente la differenza maggiore tra un professionista e un docente, è che il primo ti offre il suo punto di vista e il suo metodo, mentre il secondo ti spinge a trovare idee e metodi più personali. Credo di aver trovato un buon equilibrio fra le due metodologie, crearsi un percorso personale è estremamente importante, ma ogni tanto scontrarsi con qualcuno che ti fa vedere le cose in modo diverso rispetto alla tua personale opinione è un modo per crescere e scoprire cose nuove.
Per quanto riguarda il futuro, invece, mi aspetto che questo secondo anno mi renda una persona più adulta, più vicina ai meccanismi del mondo vero, quello dove bisogna pagare le tasse e rispettare le regole. 
Ovviamente mi aspetto anche che le attività pratiche in studio siano altrettanto valide ed interessanti rispetto a quelle del primo anno, se non di più!


In fin dei conti mi aspetto anche di diventare una persona più responsabile, che sia in grado, in futuro, di creare un qualcosa che funzioni e che mi dia da vivere. 

2. Sviluppo professionale: una breve presentazione


Mi chiamo Luca, ho vent’anni, e mi sono avvicinato al mondo della musica, rimanendone affascinato, osservando il mio maestro di chitarra suonare durante le lezioni a scuola. Da quel momento sono passati almeno quattordici anni in cui, fra tutte le attività in cui un ragazzino si cimenta, ho continuato a coltivare questa mia passione prendendo lezioni di chitarra prima, continuando a studiare da autodidatta dopo e finalmente iscrivendomi ad un corso universitario di Audio Engineering presso SAE Institute Milano.Alla fine del primo anno presso SAE posso cominciare a tirare le somme rispetto a quello che ho imparato, quello che devo ancora imparare e su quali siano i miei obiettivi futuri, sia dal punto di vista professionale che personale. Credo che presso questa scuola la curva di apprendimento sia esponenziale e riuscire a fare proprie tutte le nozioni che ci vengono fornite non sia del tutto facile, e il modo migliore perché questo accada è iniziare ad entrare nel mondo del lavoro.In ogni caso, in un momento storico delicato e precario come quello di oggi, sognare è difficile, ma ognuno ci prova a modo suo. Io sogno un giorno di aprire il mio studio di registrazione e di creare qualcosa che lasci un segno nella storia della musica e nelle persone. Per arrivare a questo bisogna crearsi un percorso da seguire. I primi paletti che mi sono prefissato sono: finire il secondo anno di università, cercando di impegnarmi al massimo, alla conclusione del quale otterrò un Bachelor of Arts e successivamente vorrei continuare gli studi e contemporaneamente iniziare a lavorare in uno studio.Nel frattempo due stage mi hanno permesso di arricchire la mia esperienza personale e mi hanno permesso di affacciarmi effettivamente al mondo del lavoro, molto diverso da tutti gli ambienti che ho frequentato fino a questo momento.Per chiudere questa mia piccola presentazione, vorrei includere i link al mio profilo LinkedIn, SoundCloud e, anche se meno pertinente, quello di Instagram:


1. Industrie Creative: la figura del produttore



Non tutti sanno che la produzione di un album è un processo complesso che può durare molto tempo: da alcuni mesi fino a svariati anni. Infatti spesso sono coinvolte molte persone fra cui gli artisti, i manager, le etichette discografiche, i tecnici degli studi, i produttori e tanti altri a seconda dell’importanza della progetto. Il produttore, e in specifico il produttore artistico, spesso è visto come quella figura mitica che, aggirandosi per i locali di qualche città, cerca e scopre un nuovo gruppo di musicisti. Ma c’è molto di più: i produttori artistici sono figure che devono entrare in sintonia con gli artisti, devono essere in grado di capire cosa c’è nella loro anima e cosa il mercato è pronto a ricevere in modo da creare un prodotto vincente sia dal punto di vista artistico sia da quello economico.


La storia che vi voglio raccontare oggi, e che vi propongo come esempio, è l’evoluzione che i Red Hot Chili Peppers hanno avuto dalla produzione del loro primo album “The Red Hot Chili Peppers”, prodotto da Gill Andy, alla produzione di dischi molto più fortunati come Blood Sugar Sex Magic e i successivi, prodotti dal mitico Rick Rubin. Non è una novità che la band, i cui membri fondatori erano Anthony Kiedis e Flea, durante la produzione del loro primo album nel 1984 si resero conto che le divergenze fra loro e il produttore con cui avevano firmato, Gill Andy, erano tali da rendere il lavoro in studio estremamente stressante, faticoso e poco produttivo. Leggendo la biografia di Anthony è facile intuire come questa situazione non permettesse alla band di esprimersi al meglio. Soprattutto le scelte di Gill, orientate verso un sound più morbido e classico non erano in linea con le idee dei Red Hot Chili Peppers, più interessati a suoni duri, grezzi e funk. Questa battaglia interna portò a un prodotto che, per quanto apprezzato dai fans più vicini alla band, non ottenne un grande successo. Anche gli album successivi come “Freaky Style” del 1985 prodotto da George Clinton, e “The Uplift Mofo Party” del 1987 prodotto da Michael Beinhorn non permisero al gruppo di saltare in cima alle classifiche. Con l’arrivo del produttore Rick Rubin, incaricato della produzione dell’album “Blood Sugar Sex Magic” la situazione cambia. Rubin comprese che il gruppo, ormai solidificatosi in una formazione definitiva, aveva bisogno di più attenzioni del normale; decise quindi di ospitare la formazione nella sua villa per tutto il tempo della produzione, “controllando” i quattro musicisti. La scelta di tenere il gruppo lontano da uno studio di registrazione rese le cose molto più semplici e permise ad Anthony, Flea, John e Chad di rilassarsi e di concentrarsi esclusivamente sulla loro musica. Con Rubin alla guida, il cui background era hi-hop, la band si trasformò. Il sound si era trasformato in un misto di rap, funk, rock e metal. Anche la scelta di registrare nella sua villa risultò vincente: alcune tracce hanno impresse il suono delle sue stanze.


Il fatto che tutti gli album successivi dei Red Hot Chili Peppers prodotti da Rick Rubin siano stati un successo dimostra che in fin dei conti la sua figura è stata chiave nell’evoluzione del gruppo e che il suo modo di lavorare si fondeva perfettamente con le caratteristiche della band a differenza dei produttori precedenti che sono quindi delle figure di primaria importanza nella vita dei musicisti.



Rick Rubin